Tra le novità assolute dell’edizione 2024/2025 dei laboratori del Progetto Mandela, ce n’è uno specifico rivolto a ragazze e ragazzi dai 10 ai 14 anni. Una sfida entusiasmante che ha visto la partecipazione di un gruppo di sole ragazze. Con loro c’è Cecilia Di Giuli e insieme si sono dedicate a uno dei grandi classici della cultura occidentale: l’Antigone. All’inizio di giugno 2025 la Casa delle Donne ospiterà la restituzione di questa esperienza e ce la siamo fatta raccontare meglio proprio da chi sta guidando il gruppo durante il laboratorio.
Quando hai conosciuto il Progetto Mandela?
“Era il ’94, primo anno delle superiori. All’epoca la sede era ancora il teatrino del Liceo Scientifico ‘Galileo Galilei’, quindi un laboratorio pomeridiano, una volta alla settimana, con tanto di spettacolo finale. Al di là dei saggi di danza, per la prima volta ho recitato al Teatro Verdi. Lo spettacolo vero e proprio era con il Mandela, con loro ho cominciato a fare l’attrice. C’era dizione, Irene alla regia, i vari laboratori. Dopo lo studio ha preso il sopravvento, ma ho continuato a seguire gli spettacoli“.
Come sei diventata formatrice?
“Con il Progetto Mandela abbiamo fatto un primo tentativo per un laboratorio di drammaturgia scenica per la terza età. Dopo questo breve esperimento, il passaggio è stato particolare. Non volevo lavorare con i ragazzi più giovani all’inizio, già così sovra stimolati, mi sembrava estremamente responsabilizzante, e lo è, non me la sentivo. Poi mi sono chiesta: l’investimento emotivo, così importante, che già stavo facendo non sarebbe stato ancor più sensato verso una progettualità a lungo termine? Ho pensato così a una fascia d’età che potesse essere interessante, quella delle scuole medie, che è spesso trascurata.
Per me hanno rappresentato un punto di svolta; con loro in un attimo puoi riattivare l’incanto dell’infanzia e allo stesso tempo sono già volti verso il futuro. È una fase anche buffa, di passaggio, di costruzione di sovrastrutture non ancora solide. Mi son detta che volevo proprio lavorare con loro. Ho iniziato qua, quest’anno. Per puro caso. E poi, sono tutte ragazze“.
Ti sei fatta un’idea del perché il laboratorio abbia attratto di più le ragazze?
“Non lo so, o forse sì. C’è come una specie di non frequentazione, nel genere maschile, del corpo, se non indirizzata specificatamente allo sport, una sorta di indagine che è sempre volta al superamento del limite fisico. Nel femminile, invece, è più facile che avvenga diversamente, non per un determinismo biologico, in cui io non credo, ma pe ragioni sociali, culturali, ambientali e storiche. Mi sono resa conto però che tanti che hanno portato le figlie al laboratorio, sono in realtà miei amici di vecchia data, che ho perso di vista dal liceo. Magari è dipeso da quello“.
Quante ragazze segui e su cosa state lavorando?
“Sono sette, stiamo lavorando sull’Antigone, affrontato lasciando loro molto spazio. Non voglio fare il classico laboratorio teatrale con la dizione e tutto il resto, non mi interessa, non voglio aggiungere altre ansie. L’indagine è una lettura che fanno proprio loro. Raccontando questa storia ti rendi conto dell’universalità del teatro e che i grandi classici, le tragedie greche, risuonano ancora. In quest’opera va in scena la lotta fra la legge del cuore e quella scritta dagli uomini.. Loro, le ragazze, non se ne facevano una ragione e a un certo punto si sono sollevate: ‘Ma è lo zio! Perché non poteva continuare a far finta di nulla? L’avrebbe salvata!’ si sono scaldate. La domanda è geniale, è il nocciolo del dramma, il senso della tragedia sta proprio nell’impossibilità della scelta.
C’è il dramma del ruolo politico e sociale in contrasto con gli affetti. Le ragazze stanno facendo una loro riscrittura, anche interrogandosi: ‘Cosa mi verrebbe meno davvero se dovessi perdere tutto?’. Il fatto che poi ci sia una direzione più drammatica che è venuta spontanea, è interessante e mi diverte molto, anche nel modo in cui le ragazze risolvono il dramma. Si sono inventate le “domande scomode ad Antigone”, ad esempio. ‘Qual è il tuo fratello preferito?’, ‘Di’ la verità, hai preferito morire piuttosto che sposarti?’ e chiudono con ‘Per andare nell’Ade, scarpette basse o scarpette alte?’.
Hanno sempre bisogno di riportare il tutto dentro una sopportabilità, è il tragicomico dell’esistenza“.
Quando presenterete il lavoro?
“Abbiamo fissato la data della restituzione pubblica il prossimo 6 giugno. Sarà in divenire, presentare questo lavoro è l’ultimo dei nostri problemi. L’abbiamo deciso insieme, quando abbiamo raggiunto un grado sufficiente di tranquillità. Lo faremo qua, alla Casa delle Donne dove si tiene il laboratorio. Staremo comode, è fondamentale stare nello spazio che loro stesse hanno creato“.
Chi è Cecilia Di Giuli. Laureata in lettere e filosofia (v.o.) con 110 e lode con una tesi in bioetica presso l’Università La Sapienza di Roma. Si forma come attrice radiofonica presso l’Accademia d’Arte Drammatica S. D’Amico di Roma e come attrice-performer presso il C.U.T. di Perugia. Lavora in teatro con Alessandro Gassmann, Anna Foglietta, Roberto Cavosi, Lucia Calamaro, Ottavia Piccolo. È attrice presso lo Stabile dell’Umbria. Per la televisione e il cinema la vediamo in lavori quali Don Matteo, Distretto di Polizia, Un professore, I peggiori giorni, Non uccidere, ed attualmente impegnata per una nuova fiction RAI, Balene. È drammaturga ed arriva in finale per il premio Inbox e Il Mondo è ben fatto. Come formatrice conduce laboratori per l’infanzia, l’adolescenza e la terza età, sia di scrittura scenica che di teatro. Attualmente impegnata con dei laboratori presso la Casa delle donne di Terni.