Lei è l’anima del Progetto Mandela. Una donna che da quasi quattro decenni è diventata il punto di riferimento di generazioni di giovani che vogliono fare teatro nella declinazione dei diritti. Irene Loesch, regista, drammaturga e formatrice è tra quanti hanno fondato questa esperienza nel 1988. Con lei abbiamo parlato a lungo, ripercorrendo la storia del Progetto Mandela, di come è cambiato negli anni e, naturalmente, di quello su cui ragazze e ragazzi stanno lavorando quest’anno anche in vista dello spettacolo conclusivo che andrà in scena mercoledì 16 aprile alle 21 al Teatro Secci di Terni.
Che cosa rappresenta per te il Progetto Mandela?
“È una delle cose importanti della mia vita. Un’avventura iniziata nel 1988 a Terni insieme a Tommaso Onofri, Marcello Ricci, Domenico Ciafli e Paola Marsella. Ci siamo incontrati e ci siamo detti ‘Sarebbe bello dare vita a questo esperimento’ che coniugava scuola e teatro, una cosa all’epoca molto innovativa e che secondo me, dopo ormai 37 anni, non ha neanche perso il suo smalto. Il Progetto Mandela ha la capacità di adattarsi ai cambiamenti, perché il fondamento rimane lo stesso: lavorare insieme con giovani e cittadini attorno ai temi dei diritti umani per creare dei prodotti culturali con un metodo partecipativo. Oggi ci sono tante esperienze che portano avanti questo tipo di lavoro. Il Progetto Mandela ha dimostrato che questa è una metodologia vincente“.
Parlavi proprio della adattabilità del Progetto. Come si è evoluto il rapporto con la città di Terni e con il pubblico?
“Inizialmente, quando è nato, a Terni non c’era una grande offerta, il Progetto è stato una novità assoluta. L’adesione è stata massiccia ed è cresciuta negli anni allargandosi a tante scuole e arrivando anche fuori dall’Italia. Abbiamo avuto contatti con soggetti come l’ambasciata di Francia e il Parlamento Europeo. Piano piano abbiamo costruito una rete che ha avuto il suo massimo splendore tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Dopo le cose sono cambiate e dalla partecipazione in massa siamo passati a una partecipazione diversa perché il mondo della scuola è cambiato.
Il Mandela è uno spazio creativo, non scolastico. Lavoriamo insieme con giovani e cittadini attorno ai temi dei diritti umani per creare dei prodotti culturali con un metodo partecipativo.
Il fatto che tanti studenti di tante scuole differenti si incontrassero era una cosa positiva, e lo è stata a lungo. Con l’introduzione dell’autonomia scolastica, questa per la scuola è diventata negativa. La scuola ha iniziato a gestire tutto da sé, diventando sempre più un’azienda, e quello ha fatto perdere molto. La scuola si è rivolta verso obiettivi diversi perché doveva ‘attirare’ gli studenti. Questo ha certamente cambiato il rapporto del Progetto Mandela con le istituzioni scolastiche. Noi venivamo invitati a fare attività nelle scuole durante le lezioni mentre il nostro primo obiettivo è sempre stato far incontrare gli studenti dei vari istituti nei momenti extra scolastici e creare altri stimoli. Il Mandela è uno spazio creativo, non scolastico. Il nostro target sono sì gli studenti delle superiori ma anche quelli universitari e i cittadini, tanto di ciò che facciamo è rivolto a tutta la città, come le mostre o le trasmissioni radio.

Il teatro è il cuore del Progetto Mandela, perché ci si innamora del teatro facendolo. Si crea sempre una magia nell’essere e nel fare insieme e negli anni abbiamo avuto dei gruppi meravigliosi. Il teatro ha questa forza enorme ed è per questo che secondo me non va abbandonato anche come strumento di diffusione. Fare teatro fa bene così come fa bene utilizzarlo come veicolo per parlare di tanti argomenti. Al Mandela chi viene può scegliere fra recitazione, costumi, scenografia, scrittura o musica: ci sono molti ambiti, è un lavoro corale. Alla fine, quando facciamo lo spettacolo, tutti sanno di aver dato il proprio contributo“.
Dicevi che dal 2015 il Progetto Mandela è andato incontro a un grande cambiamento. Che cosa è successo?
“La cacciata da quella che era la sede storica del Progetto Mandela, nel teatrino al seminterrato del Liceo Galilei di Terni, uno spazio rimesso a nuovo anche perché c’eravamo noi che facevamo attività. Una conseguenza probabilmente dell’autonomia scolastica. Iniziavamo ad essere visti come troppo di rottura e non più in linea per quei tempi“.
Paradossalmente eravate ‘giusti’ per gli anni Ottanta e meno ‘giusti’ per una decina di anni fa.
“Adesso sempre più spesso sono gli insegnanti stessi che fanno teatro a scuola, che è molto diverso rispetto a farlo con i professionisti. Come Progetto Mandela abbiamo sempre curato la qualità e la professionalità di tutte le persone coinvolte e non abbiamo mai accettato compromessi. Non abbiamo avuto né padri, né padroni, né partiti, né tessere, mai nulla di tutto ciò, abbiamo scelto sempre la libertà. Abbiamo parlato dei gulag in Corea del Nord e in Unione Sovietica, così come abbiamo parlato dei campi di concentramento nella Germania nazista o del regime fascista in Italia. Non abbiamo mai avuto un’appartenenza politica. Quando si lavora con i giovani si affrontano temi universali, diversamente diventerebbe un indottrinamento. Non lo abbiamo mai fatto”.
Dopo questa ‘cacciata’ cosa è successo?
“Abbiamo continuato a fare i laboratori, cambiando varie sedi, ci siamo interrotti solamente durante il periodo del Covid. Abbiamo spaziato molto, realizzando anche contenuti audiovisivi, come la web serie ‘Libere di volare‘ con cui siamo stati nominati in una categoria al Web Fest di Roma. Abbiamo sperimentato negli anni mezzi espressivi diversi tenendo sempre al centro il fare insieme, che è molto stimolante per chi lavora con i più giovani che spesso hanno delle grandi intuizioni“.
Arriviamo al presente. Su cosa state lavorando?
“Sull’impegno dei giovani. Per il 25 novembre abbiamo lavorato sulla violenza contro le donne con la figura di Artemisia Gentileschi e per il 27 gennaio abbiamo ricordato i ragazzi della ‘Rosa Bianca‘, mentre per lo spettacolo finale ‘La terza onda‘, che andrà in scena mercoledì 16 aprile al Teatro Secci,abbiamo affrontato il perché storicamente sono state poche le voci che si sono opposte alla violenza del totalitarismo.
Lo spettacolo parte da un esperimento avvenuto all’interno di una scuola americana in cui un professore, proprio per dare una risposta ai suoi studenti, li ha coinvolti a loro insaputa. La sua classe così è diventata esclusiva, nel senso di escludere gli altri e settaria, l’esempio di come si sviluppa il fascismo. La classe a un certo punto si è trasformata in una società totalitaria in miniatura. Nell’essere umano purtroppo resiste ancora questa supposizione di credersi di più o migliore degli altri, l’arroganza di decidere cosa è ‘bene’ e cosa è ‘male’, così come la volontà di indirizzare gli altri in una specifica direzione.

Quell’esperimento è diventato anche un film che per anni è stato proposto nelle scuole. Credo che al giorno d’oggi con le oligarchie al potere, mentre accadono cose terribili contro i diritti umani, con la richiesta dell’uomo e della donna ‘forti’ al comando, era giusto interrogarsi su questo. Abbiamo rivisto il testo, attualizzandolo, inserendo contenuti dal web e da questo ‘Grande Fratello’ che imperversa, con qualche accenno a ‘1984’ di Orwell che è sempre attualissimo. Abbiamo riflettuto sulle paure, soprattutto quella del ‘diverso’, e anche sull’impoverimento della lingua in un momento in cui l’informazione si preferisce fare con slogan e non si approfondisce. Con le ragazze e i ragazzi dei laboratori abbiamo ragionato su tutto questo, aiutandoli a sviluppare il senso critico e ad essere più vigili“.
Con le ragazze e i ragazzi dei laboratori abbiamo ragionato su tutto questo, aiutandoli a sviluppare il senso critico e ad essere più vigili.
Concludiamo parlando dei progetti per il futuro.
“Abbiamo nuovamente presentato il progetto alla Chiesa Valdese che quest’anno ha finanziato i laboratori con i fondi dell’otto per mille. In autunno abbiamo in programma dei workshop su drammaturgia e messa in scena rivolti agli studenti universitari. Per ora vorremmo portare in scena con le formatrici del Progetto Mandela ‘Sciocchezze‘ dal libro di Susan Glaspell, che abbiamo presentato al festival ‘Resistenze Femministe'”.
Chi è Irene Loesch. Inizia il suo percorso professionale nei teatri pubblici in Italia e Germania per scegliere presto di dedicarsi al lavoro artistico, culturale e organizzativo anche in ambito sociale, convinta che gli artisti abbiano una grande responsabilità nella costruzione di una società giusta, equa e rispettosa dei diritti di tutti. Nel 1988 fonda insieme a Tommaso Onofri, Marcello Ricci, Paola Marsella e Domenico Cialfi ‘Il Progetto…‘, una sperimentazione culturale e artistica, che nel 1990 viene intitolata a Nelson Mandela e che opera a Terni coinvolgendo giovani e cittadini di ogni età. Regista teatrale con qualche incursione in tv e radio, drammaturga, traduttrice di testi teatrali, ideatrice e curatrice di progetti culturali, editrice, attivista per i diritti umani, ha trovato nel teatro la sua dimensione ideale per raccontare storie che ci riguardano.